Résumés
Résumé
Bien que les années de tension entre Sartre et Aron appartiennent maintenant au passé, de nombreux problèmes qu’ils soulevèrent à leur époque restent irrésolus. Pierre Verstreaten, dans L’anti-Aron (Éditions de la Différence), formule de nouvelles hypothèses d’un grand intérêt et recherche quelques réponses possibles à certaines critiques d’Aron, dans son Histoire et dialectique de la violence, adressé comme une réponse à la Critique de la raison dialectique de Sartre. Que les deux auteurs aient soutenu des positions inconciliables est une chose admise, mais l’on oublie parfois le chemin qu’ils parcoururent ensemble, tout d’abord accompagnés de Simone de Beauvoir et Paul Nizan à l’École Normale Supérieure, puis se retrouvant dans leurs références communes à la philosophie allemande de Husserl et Heidegger, ainsi que dans leur refus de l’idéalisme, dominant dans l’université française de l’époque. En 1945, par exemple, lorsque Sartre fonde la revue Les temps modernes avec Merleau-Ponty, Camus et Simone de Beauvoir, il invite Aron à faire partie du comité de rédaction malgré le fait que leurs routes tendent déjà à se séparer.
Riassunto
Anche se gli anni delle contrapposizioni tra Jean-Paul Sartre e Raymond Aron sono ormai tramontati, molti dei problemi da loro sollevati restano irrisolte. Pierre Verstraeten, nel suo L’Anti-Aron, (Éditions de la Différence) propone tesi di grande interesse e cerca possibili risposte ad alcune critiche che Aron nella sua Histoire et dialectique de la violence rivolge alla Criitica della ragione dialettica di Sartre. Che Aron e Sarte abbiano espresso posizioni inconciliabili è cosa nota, ma pochi ricordano come abbiano compiuto un percorso insieme, prima accompagnati da Simone de Beauvoir e Paul Nizan nell’Ècole Normale Supérieure, poi ritrovandosi nel comune riferimento alla filosofia tedesca di Husserl e Heidegger e nel loro rifiuto all’idealismo dominante all’epoca nell’università francese. Nel 1945, quando Sartre fondò la rivista Les Temps Modernes, insieme a Maurice Merleau-Ponty, Albert Camus e Simone de Beauvoir, invitò anche Aron a far parte del comitato di redazione, anche se poco dopo le loro strade avrebbero preso indirizzi diversi.
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Quel dialogo tra Raymond Aron e Jean-Paul Sartre
Anche se gli anni delle contrapposizioni tra Jean-Paul Sartre e Raymond Aron sono ormai tramontati, molti dei problemi da loro sollevati restano irrisolte. Pierre Verstraeten, nel suo L’Anti-Aron, (Éditions de la Différence) propone tesi di grande interesse e cerca possibili risposte ad alcune critiche che Aron nella sua Histoire et dialectique de la violence rivolge alla Criitica della ragione dialettica di Sartre. Che Aron e Sarte abbiano espresso posizioni inconciliabili è cosa nota, ma pochi ricordano come abbiano compiuto un percorso insieme, prima accompagnati da Simone de Beauvoir e Paul Nizan nell’Ècole Normale Supérieure, poi ritrovandosi nel comune riferimento alla filosofia tedesca di Husserl e Heidegger e nel loro rifiuto all’idealismo dominante all’epoca nell’università francese. Nel 1945, quando Sartre fondò la rivista Les Temps Modernes, insieme a Maurice Merleau-Ponty, Albert Camus e Simone de Beauvoir, invitò anche Aron a far parte del comitato di redazione, anche se poco dopo le loro strade avrebbero preso indirizzi diversi.
Docente all’Université libre de Bruxelles, Pierre Verstraeten non è soltanto uno studioso dell’opera di Sartre, ma anche, a partire degli anni ’60, uno tra i suoi più importanti collaboratori. Ha diretto la collana filosofica di Galllimard, prima insieme a Sartre, per poi proseguire da solo fino al 1992. Tra le sue opere si possono segnalare Violence et Étique, uno studio sul teatro di Sartre, e il lavoro intorno agli scritti postumi di Sartre, a partire da quelli sulla morale e sul Saint Genet comédien et martyr.
Per comprendere appieno il dialogo e il conflitto tra Sartre e Aron è però necessario chiarire i diversi ambiti di lavoro a cui fanno riferimento le loro opere, perché «mentre Aron si è interessato alla sociologia tedesca (Weber, Dilthey, Simmel), ed alla loro applicazione e implicazione nella comprensione dei fenomeni sociali e storici (…) i primi lavori di Sartre erano rivolti alla psicologia, dunque ad una prospettiva più individualista che sociale e simultaneamente volevano dare risposta alla sfida di trovare un fondamento ontologico dell’umano». Una differenza che non indica incompatibilità, ma piuttosto complementarietà nel campo delle scienze umane. In questo senso Verstraeten ricorda che in uno dei suoi incontri con Sartre gli confessò che uno degli obiettivi della Critique era proprio quello di rispondere al relativismo e al pluralismo storico di Aron.Il dialogo diventa infine contrapposizione nella Parigi del Sessantotto quando molti filosofi e studiosi lavoravano per favorire una «rivoluzione culturale» che permettesse, da una parte di superare l’ideologia del consumo e dall’altra di superare l’irrigidimento dogmatico della dialettica. Sono gli anni della rive gauche in cui l’ottimismo e la speranza di cambiamento portano la sinistra a dire: «preferisco sbagliare con Sartre che aver ragione con Aron». Il confronto tra i due intellettuali è sempre più aspro. Aron attacca Sartre e dice di non aver trovato nulla di particolarmente nuovo nella Critique. Sartre invece è convinto di aver fondato una nuova impostazione per la dialettica marxista e di aver posto un argine definitivo agli eccessi teorici e pratici di stampo stalinista. Nella Histoire et dialectique de la violence Aron critica invece la filosofia della libertà di Sartre considerandola un fiancheggiamento se non addirittura il sostegno a certe forme di terrorismo.
Verstraeten sostiene tuttavia che se si analizzano in profondità le critiche di Aron ci si trova di fronte a un «travestimento» del pensiero di Sartre nei suoi punti essenziali, fino ad affermare che Aron non ha mai capito il pensiero di Sartre. In particolare attorno a due temi: il bisogno e l’alienazione. Da una parte la nozione di «bisogno» ha in Sartre una portata inedita in quando adattamento organico-dialettico di quella struttura dell’azione che era, nell’ Essere e il nulla, il per-sé. Dall’altra il rifiuto di Aron di capire la concezione sartriana dell’alienazione che si propone come sintesi e superamento di quella hegeliana, dove ogni oggettivazione della coscienza presenta una alienazione in quanto privazione dell’«intenzione di senso» insita nell’agire, e quella marxista che la rende concretamente campo di affermazione di sé. Sartre propone di riunire, in un dépassement, l’alienazione, in quanto risultato dell’azione, e l’essere stesso della prassi che nell’azione è cristallizzato.
È innegabile quindi che le loro posizioni politiche siano diventate con il passare degli anni sempre più inconciliabili. Per fare un esempio chiaro a un lettore italiano: mentre Sartre fondava in Francia Libération e sosteneva, anche economicamente, il manifesto, Aron pubblicava le sue riflessioni sul Giornale di Indro Montanelli.
Oggi di fronte a una radicalità senza più esigenze costruttive è necessario capire «in che modo articolare la violenza critica e la reciprocità universale entrambe rivendicate da Sartre». Una questione centrale posta da Sarte nella lunga intervista concessa nel 1974 e pubblicata con il noto titolo Ribellarsi è giusto. Se ogni rivolta implica in sé una violenza, allora, è sempre giusto ribellarsi?
Dialogue entre Raymond Aron et Jean-Paul Sartre
(Trad. Benjamin Gadé)
Bien que les années de tension entre Sartre et Aron appartiennent maintenant au passé, de nombreux problèmes qu’ils soulevèrent à leur époque restent irrésolus. Pierre Verstreaten, dans L’anti-Aron (Éditions de la Différence), formule de nouvelles hypothèses d’un grand intérêt et recherche quelques réponses possibles à certaines critiques d’Aron, dans son Histoire et dialectique de la violence, adressé comme une réponse à la Critique de la raison dialectique de Sartre. Que les deux auteurs aient soutenu des positions inconciliables est une chose admise, mais l’on oublie parfois le chemin qu’ils parcoururent ensemble, tout d’abord accompagnés de Simone de Beauvoir et Paul Nizan à l’École Normale Supérieure, puis se retrouvant dans leurs références communes à la philosophie allemande de Husserl et Heidegger, ainsi que dans leur refus de l’idéalisme, dominant dans l’université française de l’époque. En 1945, par exemple, lorsque Sartre fonde la revue Les temps modernes avec Merleau-Ponty, Camus et Simone de Beauvoir, il invite Aron à faire partie du comité de rédaction malgré le fait que leurs routes tendent déjà à se séparer.
Professeur à l’Université libre de Bruxelles, Pierre Verstreaten n’est pas seulement un commentateur de l’œuvre de Sartre, mais aussi, à partir des années soixante, l’un de ses plus importants collaborateurs. Il travaille comme directeur, d’abord avec Sartre, de la « Bibliothèque de Philosophie » chez Gallimard de 1966 à 1992. Parmi ses différentes œuvres, on peut signaler Violence et éthique, une étude sur le théâtre sartrien, et le travail autour de ses écrits posthumes, notamment ceux sur la morale et Saint Genet, comédien et martyr.
Afin de bien comprendre les différentes discussions et les conflits que Sartre et Aron purent connaître, il apparaît nécessaire de clarifier les différents domaines d’étude auxquels ils se réfèrent dans leurs œuvres. Car « si Aron s’était intéressé simultanément à la sociologie allemande (Weber, Dilthey, Simmel), et à l’application sinon l’implication de celle-ci dans la compréhension des phénomènes sociaux et historiques […] Sartre avait travaillé simultanément sur la psychologie, d’emblée donc dans une prospective plus individualiste que sociologiste, et avait relevé le défi de une réflexion sur le fondement ontologique du fait humain. » Une différence qui ne veut pas dire incompatibilité, mais plutôt complémentarité dans le champ des sciences humaines. Allant dans ce sens, Verstreaten relate que, lors de l’une de ses rencontres avec Sartre, celui-ci lui confessa que l’un des objectifs de la Critique était de répondre au relativisme et au pluralisme historique d’Aron.
La confrontation d’idées se transforme peu à peu en opposition dans le Paris de 1968, alors que de nombreux philosophes et penseurs travaillent à faire émerger une « Révolution culturelle » qui permettrait de dépasser à la fois l’idéologie consumériste et le durcissement dogmatique de la dialectique. Ce sont alors les années de la rive gauche, où l’optimisme et l’espérance du changement portent la gauche à déclarer « Plutôt avoir tort avec Sartre que raison avec Aron ! » Le conflit entre les deux intellectuels se fait alors de plus en plus rude. Aron attaque Sartre, déclarant n’avoir rien trouvé de particulièrement nouveau dans la Critique. Sartre, quant à lui, est convaincu d’avoir fondé une nouvelle conception de la dialectique marxiste, érigeant une barrière définitive face aux excès théoriques et pratiques de la matrice stalinienne. Dans Histoire et dialectique de la violence, Aron critique à son tour la philosophie de la liberté chez Sartre, dénonçant sa proximité, pour ne pas dire sa caution, à certaines formes de terrorisme.
Verstreaten soutient toutefois qu’en analysant en profondeur les critiques d’Aron, on y trouve un « travestissement » de la pensée sartrienne sur ses points essentiels, ce qui l’amène à dire qu’en réalité, Aron n’a jamais vraiment compris la pensée de Sartre. Il étaye son argument à partir de deux grands thèmes : le besoin et l’aliénation. D’une part, la notion de « besoin » prend chez Sartre une tournure inédite par son incorporation organico-dialectique à cette structure de l’action que formait, dans L’Être et le Néant, le pour-soi. D’autre part, selon l’auteur, Aron refuse de comprendre la conception sartrienne de l’aliénation, qui se veut une synthèse des définitions hégélienne et marxiste. Si Hegel entendait que chaque objectivation de la conscience présente une aliénation en tant que privation de « l’intention de sens », inhérente à l’agir, la conception marxiste en fait concrètement un lieu d’affirmation de soi. Sartre propose ainsi de réunir, en un dépassement, l’aliénation en tant que résultat de l’action, et l’être lui-même de la pratique habituelle, un être cristallisé dans l’action.
Il est indéniable que le fossé séparant leurs positions politiques respectives a continué de se creuser avec le temps. Un exemple permet d’illustrer clairement ces propos au lecteur italien : alors que Sartre fondait en France le journal Libération et soutenait, y compris économiquement, Il Manifesto (d’inspiration marxiste), Aron publiait ses réflexions dans Il Giornale (libéral) d’Indro Montanelli.
Aujourd’hui en prise à une radicalité qui a perdu ses exigences constructives, il apparaît nécessaire de comprendre « comment articuler la violence critique et la réciprocité universelle, toutes également revendiquées par Sartre. » Une question centrale posée par Sartre lui-même lors d’une interview en 1974, publiée sous le célèbre titre On a raison de se révolter. Si toute révolte implique en elle-même une forme de violence, alors a-t-on toujours raison de se révolter ?