Abstracts
Résumé
Le texte littéraire est un milieu dans lequel différentes relations intermédiales peuvent prendre forme. En empruntant la notion de remédiation à Bolter et Grusin et en la déplaçant des technologies numériques vers le roman, cet article définit, dans un premier temps, trois procédés par lesquels le texte peut convoquer des modes appartenant conventionnellement à d’autres formes de médiation. Les points de rupture que ces procédés impliquent sont ensuite abordés à partir de théories de la lecture, pour justifier l’hypothèse selon laquelle un roman ayant une forte dynamique intermédiale peut accroître le degré d’activité du lecteur. Le roman Océan mer sert de terrain d’analyse pour expliciter le dynamisme des interactions qui caractérisent une telle production intermédiale.
Article body
Il rapido progresso delle tecnologie digitali e le nuove possibilità e peculiarità del Web 2.0 ridefiniscono i nostri rapporti con i media, sia sul piano pratico che su quello concettuale. Le nozioni di canale, di strumento o di dispositivo non sono più adeguate ad un panorama mediatico la cui dinamica varietà si riconosce sotto il segno della convergenza e della partecipazione.
In questa nuova realtà, la nozione stessa di media pone sempre più problemi, soprattutto quando si cerca di includere il Web nelle sue comuni definizioni. È in atto uno spostamento progressivo verso l’azione – verso la mediazione – piuttosto che verso lo schermo o il supporto mediatico. In questa prospettiva, il Web sarebbe allora uno spazio di azione, un habitat dinamico in cui differenti componenti possono entrare in una interazione. O anche, come secondo Rancière (2008) « l’ambito[1] in cui si sono inserite le performances di un dispositivo artistico, come pure l’ambito che queste performances contribuiscono loro stesse a configurare ».
Così, quel che chiamiamo nuove tecnologie e nuovi media, e i discorsi più teorici che li accompaganno nella loro evoluzione, ci offrono delle piste di riflessione per rivisitare i media trazionali e mettere in luce alcuni fenomeni ancora poco analizzati. In effetti, a partire dal celebre lavoro di Bolter e Grusin (1999), Rimediazione (Remediation), si fa riferimento all’evoluzione tecnologica in termini di rottura piuttosto che di continuità, dato che la loro tesi fondamentale (che d’altronde è citata molto spesso) è che un nuovo medium include sempre le forme o le proprietà dei media preesistenti. Se la rimediazione è, secondo gli autori, « la caratteristica che definisce un nuovo medium digitale »[2], concepita soprattutto in una prospettiva genealogica, essa non si limita a queste prospettive e può essere attiva in differenti sensi e verificarsi in tutti i media.
A partire da questo concetto, propongo di osservare come la rimediazione possa realizzarsi in un testo letterario, in una prospettiva che non sarebbe genealogica (come quella di Bolter e Grusin) ma poetica. L’idea di rimediazione, nella sua accezione di « mediazione di una mediazione », ci é congeniale per parlare dei momenti in cui un romanzo riunisce, nel proprio ambito, « modi e aspetti »[3] che corrispondono convenzionalmente ad altri media – che non sono tuttavia materialmente presenti nelle pagine del libro. Come sottolinea Huglo (2007), alcuni passaggi del testo possono essere articolati in modo che il lettore « attualizzi nel testo non solo questo o quel film specifico, ma anche manifestazioni (modes d’apparaîtres) pittoriche, filmiche etc., capaci di investire la stessa scena narrativa »[4]. Un processo di questo tipo contribuisce generalmente ad arrestare il flusso narrativo e crea inevitabilmente degli spazi, dei punti di rottura e di tensione tra i differenti media posti così in relazione. Tuttavia, se si fa riferimento a quanto scriveva Wolfang Iser (1985) in L’atto della lettura, questi punti di rottura (« i bianchi », per Iser) sono esattamente la conditio sine qua non dell’attività di rappresentazione del lettore, della sua interazione con il testo. In un contesto mediatico, la nozione di interazione (utilizzatore-media o media-media) non è dunque riservata alle nuove tecnologie, ma riguarda anche, in letteratura, l’atto del lettore sia davanti al testo frammentario sia davanti alle relazioni intermediali prodotte nel testo.
Dopo aver descritto i tipi di rimediazione in letteratura per stabilire dove si trovano questi punti di interazione intermediali, tornerò agli autori che hanno riflettuto precisamente sulla relazione tra gli atti di ricezione e i bianchi, gli choc et la disposizione di elementi eterogenei. Partendo da un esempio estrapolato da romanzo Oceano mare (Baricco 1998), dimostrerò così che se i bianchi di un testo sollecitano le rappresentazioni del lettore e l’interruzione della storia permette una scoperta (in contrasto con un riconoscimento compiacente) degli oggetti mediati[5], un romanzo che presenta una dinamica intermediale non può che aumentare il livello di attività del lettore in rapporto all’opera così come i movimenti degli oggetti che passano da una mediazione all’altra.
Intermedialità, rimediazione et letteratura
Per "rimediazione", in letteratura, intendo una forma di intermedialità intracomposizionale (Wolf, 1999), nel senso che le interazioni intermediali prendono forma all’interno di un solo medium (in questo caso, il testo romanzesco) materialmente presente. Questo riguarda dunque i momenti in cui un testo letterario crea degli effetti di senso o degli effetti estetici mediando un’altra struttura mediatica, rimanendo sempre nel registro della scrittura. Questi romanzi moltiplicano allora le ingiunzioni, i punti di rottura e i processi di montaggio facendo intervenire altri modi di percezione diversificata (secondo la terminologia di Huglo, 2000) attraverso le loro pagine. Harvey (2009), seguendo Rajewsky (2005), ne parla in termini di riferimenti intermediali, definendoli come « l’adozione da parte di un medium di schemi compositi propri ad un altro medium, che implica anche per il destinatario l’impressione di un ’transfert’ intermediatico »[6].
In effetti, diversi termini sono stati proposti, per corrispondere a questo tipo di disposizione intermediale. Se la nozione di riferimenti intermediali, introdotta da Rajewsky, è spesso citata, diversi autori sottolineano tuttavia che la definizione che questa ne dà è troppo inclusiva e imprecisa. Altre definizioni sono state comunque utilizzate, come quella di « transmediazione » (Gauvin e Larouche, 1999, Harvey, 2009, 2011) o di « modellizazione », (Vermetten, 2005, Schaeffer, 1999). Rispetto a questi concetti, preferisco quello di rimediazione : il testo produce una mediazione (un « mettere in mezzo », potremmo dire) di ciò che corrisponde ad una delle tre principali accezioni del termine proposto da Bolter e Grusin.
Dato che, in questi romanzi, il testo resta l’unico medium materialmente presente, le rimediazioni sono sempre parziali, nel senso che i media successivi non sono effettivamente presenti nelle pagine. In un contesto di analisi, per poggiare su un lessico efficace che permette di definire i luoghi di interazione intermediale, Elleström (2010) definisce due tipi di frontiera mediatica : quelle convenzionali (l’aspetto operativo e quello contestuale dei media) e quelle che risentono della medialità (le modalità e i modi mediatici). Secondo l’autore, le modalità corrispondono a « these four necessary categories in the area of the medium ranging from the material to the mental »[7](corsivo mio).
Si tratta di modalità materiali, sensoriali, spazio-temporali e semiotiche. Queste quattro modalità si suddividono in diversi modi, concepiti come « le varianti delle modalità »[8] . Con Elleström, possiamo quindi considerare un medium come un ambito multimodale, cioé come una combinazione particolare di modi e aspetti. Tutto questo permette innanzitutto di chiarire quali sono i mezzi (cioè « the medium’s own specific means and instruments »[9]) a disposizione del romanzo per la creazione dei momenti di rimediazione, e secondariamente di identificare, tra i media coinvolti, quello che può essere rimediato dal testo romanzesco. La multimodalità di Elleström (2010) fornisce dunque la possibilità di definire il posizionamento delle frontiere mediatiche che possono essere momentaneamente superate o causare delle frizioni, in un certo romanzo. In altre parole, le idee di questo autore permettono di identificare e nominare le componenti dei media (modi e aspetti) che costituiscono una certa medialità e rendono possibili le interazioni intermediali.
In base al grado di trasparenza o di opacità del media rimediato, si possono distinguere tre strategie differenti che, nello spazio del testo, implicano una relazione intermediale.
Rimediazione trasparente : la medialità
Sto facendo riferimento ai momenti in cui un romanzo rimedia modi e aspetti di un’altra medialità, conservandone la struttura, i principi di funzionamento o modes d’apparaîtres (Huglo, 2007). Werner Wolf (1999) definisce un fenomeno appartenente a questo tipo di rimediazione spiegando che « the signifiers of the dominant medium are used in the way customary and typical of it and only serve as a basis of this signification without being iconically related to the other medium »[10]. Il romanzo dunque modifica appena le proprie caratteristiche modali e non cerca di farsi trasparente ; la letterarietà (cioé la medialià del romanzo) prevale comunque, ma un nuovo modo di mediazione viene ad aggiungersi. Questo riguarda i momenti in cui il romanzo « gioca con » le frontiere mediatiche che gli sono proprie (Rajewsky [2010] a questo proposito introduce l’espressione playing around), senza tuttavia superarle troppo drasticamente (come farebbe per esempio un fotoromanzo). Una relazione intermediale di questo tipo diventa una rottura trascurabile nel flusso romanzesco, e quasi mai nella sua struttura enunciativa. Le modalità del romanzo sono immutate, ma poste a vantaggio della creazione di una relazione interestetica, mediando modi e aspetti di un’altra medialità, verso la quale il lettore è portato a rivolgersi. Il medium « non dominante » non è inserito in maniera effettiva e concreta, dato che non apporta autonomamente un un prodotto mediatico proprio.
Rimediazione intermedia : il prodotto mediatico fittizio
Allo stesso modo, capita che il romanzo compia una rimediazione un pò più concreta attualizzando un prodotto mediatco fittizio (creato nel e dal testo, in una relazione ad incastro). Tale prodotto mediatico, il più delle volte, è realizzato da una istanza intradiegetica riconoscibile e introduce quindi un dialogo tra l’autore del romanzo e il personaggio creatore. Il fenomeno in questione implica una pratica a volte interdiscorsiva, altre volte intermediale, dato che il dialogo che si apre tra le due istanze porta ad una interazione tra le medialità che quindi sono poste in relazione. Pensiamo ai passaggi in cui un romanzo riferisce di una lettera, o di un articolo di giornale. La medialità non dominante vede aumentare la propria opacità rompendo temporaneamente il flusso narrativo ed enunciativo del romanzo, che si fa dunque più trasparente. Rimane comunque in piedi la condizione di possibilità della rimediazione ; il romanzo, in virtù della struttura ad incastro, determina necessariamente le manifestazioni dell’altro medium. Si crea dunque quel che Rajewsky (2010) chiamerebbe « "in-betweeness", something actually situated between two […] medial forms »[11] condotta dalle manipolazioni di modo e aspetti ai quali i due media sono sottoposti.
Rimediazione opaca : il prodotto mediatico reale
Il terzo tipo di rimediazione si ottiene dalla modellizazione di una produzione mediatica reale, cioé di un prodotto mediatico anteriore ed esterno al romanzo e della sua medialità.
Si può concepire questo fenomeno come una sorta di prolungamento mediale dell’intertestualità, nel senso che c’è « la presenza effettiva di un testo nell’altro »[12] ma questo « testo » (o prodotto mediatico) è accompagnato dalla rimediazione della sua medialità originaria. Si tratta dunque di una pratica che concerne, « aldilà del carattere migratorio degli scritti, gli schemi percettivi legati a questi scritti, alle loro mediatizzazioni, e soprattutto alle arti-media che conferiscono loro una forma »[13]. In questo tipo di rimediazione, il romanzo non fa che adattare un prodotto mediatico, mettendosi in relazione con una produzione preesistente. Il medium rimediato risulta così più « opaco » che non nei due fenomeni descritti in precedenza, assemblato com’è ad un prodotto mediatico che esiste realmente (non essendo creato dal romanzo). Walter Moser (2007) declina qualche strategia che implica questo tipo di interazioni, nel caso della rimediazione della pittura da parte del cinema. Un esempio : « per mostrare il quadro all’interno del medium film, lo si traspone nella storia della sua « fabbricazione » e si racconta il processo di creazione del quadro stesso, culminante nella ripresa del gesto stesso del dipingere »[14].
Queste procedure implicano necessariamente dei punti di rottura tra le diverse manifestazioni che accompagnano il lettore a situarsi « in uno spazio intermedio »[15] facendo del romanzo un ambito in cui le differenti medialità si dispongono, si trasformano, si confrontano, interagiscono. I testi narrativi che presentano una dinamica intermediale sono dunque essenzialmente frammentari, e moltiplicano così gli choc causati dal montaggio di modalità percettive eterogenee che interrompono la continuità del testo. Huglo (2007) ci fa comprendere che
« spostandosi [verso il testo] alcune modalità affiorano, diventano visibili appena escono dall’evidenza del loro ambito di emergenza e diffusione. Questa possibilità di liberare la nostra percezione e di rendere le cose nuovamente sensibili,ricorda le idee di Victor Chklovski sull’arte come procedimento e sulla singolarizzazione »[16].
In questa ottica, la sovrapposizione delle diverse prospettive in un ambito intermediale può intensificare questa visione dell’oggetto -di cui parla appunto Chklovski- per via dell’attenzione portata alla complicazione della forma, che permette il movimento migratorio di questo oggetto. Tra le mediazioni così disposte e colpite si trovano degli spazi, dei luoghi di interazione che hanno un qualche legame con le idee di Wolfang Iser (1985) a proposito dei bianchi di un testo, che stimolano l’attività di rappresentazione del lettore e, ipso facto, la sua interazione col testo. In questo modo, pensare la rimediazione in letteratura permette di ristabilire dei ponti con quegli autori che si sono già occupati di questo infra -questi punti di rottura e di tensione tra gli elementi disposti – e con le loro tesi possono contribuire ad una riflessione sulla rimediazione in letteratura.
Sulla discontinuià, il montaggio e la distanza
Secondo Iser (1985), un bianco all’interno della struttura rende la stessa « dinamica nella misura in cui segna alcune aperture che non possono essere limitate se non dal lettore che agisce su di essa»[17] . In questo modo il lettore ha l’opportunità di vivificare l’opera, ma la sua attività è condizionata da una pista di spazi possibili, che la regola. Le aperture a cui fa riferimento Iser si riferiscono a dei luoghi appartenenti alle rappresentazioni del lettore[18]. Iser stabilisce dei parallelismi col funzionamento del montaggio, dove « la disgiunzione dei segmenti o la discontinuità delle immagini fa nascere una rete di connessioni possibili grazie alle quali i segmenti e le immagini si determineranno a vicenda »[19].
Le rappresentazioni del lettore sono dunque concesse dai bianchi del testo, prodotti dagli choc e dagli strappi tra i differenti segmenti che intralciano la sua normale continuità. Vediamo bene quindi che per Iser, la relazione è primaria e necessaria alla costruzione degli oggetti del testo e del senso da parte del lettore. Sono effettivamente questi choc, questo montaggio di elementi eterogenei, a creare i bianchi, e non viceversa :
« In quanto pausa di silenzio nel testo, [i bianchi] sono un niente. Ma questo niente produce una sollecitazione importante rispetto all’attività di costituzione. Ogni volta che dei segmenti di testo si urtano direttamente, appaiono dei bianchi, che interrompono lo svolgilento prevedibile del testo. […] Ciò gli impedisce di automatizzarsi e di diventare ridondante. »[20].
Questo concetto di automatizzazione e di ridondanza non può non ricordare le tesi di Victor Chklowski (1965), per il quale la visione degli oggetti estetici, ottenuta attraverso dei processi di singolarizzazione[21], si oppone al riconoscimento automatico e familiare degli oggetti della comunicazione quotidiana. Viva Paci (2012) elenca diversi tipi di processo di singolarizzazione spiegando che la si può « ingrandire, rallentare, frammentare, dettagliare, proiettare, metterne a nudo la materia e il tempo (quindi le strutture) che sostengono le cose, allontanando così le cose dalla percezione automatizzata »[22]. Questa nozione di distanza è effettivamente mobilitata da Iser (1985), che ipotizza che quando le rappresentazioni del lettore si scontrano, l’urto attiva una presa di coscienza in grado di condurre il lettore a porsi in rapporto con esse. « Ne consegue la possibilità di distanziarci dalla sequenza di immagini condizionate dal testo, ed è questa distanziazione a permetterci di comprenderle »[23]. È così che la distanza e la complicazione contagiano sia la percezione degli oggetti che la costituzione semantica dell’opera. L’attività del lettore non è affatto sinonimo di prossimità o di identificazione.
Walter Benjamin (2003), partendo dalle riflessioni sul teatro epico di Bertolt Brecht, ha ragionato anche sulla funzione della discontinuità per garantire l’attività di uno spettatore messo in relazione con gli stati delle cose presentate (senza lo schermo dell’illusione). A parer suo, il procedimento da privilegiare è per l’appunto quello del montaggio, in cui « l’elemento montato interrompe la concatenazione in cui è incastrato, ponendosi così come un ostacolo all’illusione del pubblico »[24]. Benjamin ipotizza che siano proprio i punti di rottura implicati dal procedimento di montaggio a garantire la distanza necessaria tra lo spettatore e gli stati di cose reali, che egli riconosce « non con sufficienza, come sulla scena naturalista, ma con stupore […] La loro scoperta si effettua per mezzo dell’interruzione delle sequenze, solo che questa interruzione non ha un carattere eccitante, ma piuttosto una funzione organizzatrice »[25].
Non è certo difficile individuare dei paragoni con la singolarizzazione di Chklovski e coi bianchi disgiuntivi di Iser, ma in questa ultima estrapolazione del testo di Benjamin mi interessa soprattutto come egli lasci intendere che il discontinuo non è necessariamente opposto al continuo, nei casi in cui lo organizza[26].
L’interruzione come luogo di tensione
Le tesi di Benjamin consentono di sottolineare che i punti di rottura, in una concatenazione, sono dei luoghi dove i contrari si incontrano, senza neccesariamente opporsi. In questo modo « l’interruzione nel procedimento del montaggio è elemento di un sistema. Una sosta e un passaggio, senza contraddizione »[27]. Queste interruzioni non sono dei vuoti ma dei luoghi di tensione, degli intermezzi poietici, come le sinapsi neuronali, che sono sia lo spazio tra due cellule sia il luogo di scambio e interazione tra di esse. I bianchi e i punti di rottura sono così uno spazio intermediario tra l’autore che programma e il lettore che attualizza, tra il linguaggio e il non-detto, tra l’immobilità dell’azione ed il movimento del pensiero, tra rallentamento e ripresa, tra l’ogetto e la visione. Per riprendere la felice immagine della catena, i bianchi e gli elementi montati sono come l’estremità in cui gli anelli dimostrano allo stesso tempo la loro diversità e la loro interrelazione, ed è proprio questa disgiunzione tra gli anelli che consente il movimento della catena.
La discontinuità non si oppone a tutti i costi al flusso, non più di quanto le disgiunzioni si oppongano alla continuità e le soste al movimento allorquando essi stimolano l’attività di rappresentazione e di interpretazione del lettore. Iser (1985) sottolinea in effetti che « abbiamo l’impressione che il testo continuo sia povero quando lo si paragona al testo disgiunto che ci è dato da vivere in maniera più intensa »[28]. Così, sebbene i bianchi e i punti di rottura siano degli elementi formali che distanziano il lettore dalla presa immediata di un oggetto o di uno stato di cose, essi garantiscono allo stesso tempo un nuovo rapporto, stupefacente, in cui la forma svelata e l’accentuazione dei suoi procedimenti, rinforzano il dinamismo della mediazione.
Oceano mare : sul bianco del testo e del mare
Alla luce di quello che abbiamo detto, è quindi possibile concepire i procedimenti di rimediazione, in letteratura, come una moltiplicazione dei luoghi di tensione ed una accentuazione dell’atto di lettura nell’ambito testuale. Le medialità si mischiano e si trasformano, invocando dei modi di lettura ibridi in cui la fissità della temporalità pittorica e la linearità della narrazione romanzesca, per esempio, si scontrano e creano un movimento particolare a carico dell’oggetto, sempre in divenire che esse mediano. Se nel libro « l’intermedialità opera come virtualità attualizzata dalla lettura »[29], questo è perché essa riguarda esattamente i bianchi che permettono l’interazione con il lettore e richiedono le sue rappresentazioni. I contesti intermediali sarebbero allora dei luoghi congeniali per concepire il movimento e l’aspetto procedurale della mediazione. A questo riguardo, il romanzo Oceano Mare (OM) di Alessandro Baricco è particolarmente paradigmatico.
Oceano mare è un romanzo in cui tutti i personaggi intrattengono una particolare relazione con il mare, che essi osservano, attraversano o sfidano. Due di loro cercano anche di rappresentarlo : Plasson in pittura, e Bartleboom, in una enciclopedia infinita. Le imprese sono tuttavia destinate al fallimento : il mare si smarca, evidentemente, da qualsiasi rappresentazione possibile. Nel romanzo, un capitolo è interamente dedicato all’opera pittorica postuma di Plasson, consegnata da Bartleboom in un catalogo che imita quasi tutti i modi dei "reali" cataloghi di pittura. I quadri di Plasson presentano tuttavia una evidente estraneità : i primi quattro (così come anche altri nel seguito del capitolo) intitolati anch’essi "oceano mare", riportano la seguente descrizione : "Completamente bianco".
Questo capitolo giunge a rompere lo stile narrativo del romanzo bloccando lo svolgimento dell’azione, moltiplicando i bianchi della struttura e segmentando le prospettive narrative ed enunciative, complica la concatenazione testuale attraverso l’intrusione di una modalità di evidenza visiva (legata alla descrizione della pittura) e lascia effetivamente a distanza l’oggetto della sua rappresentazione, grazie allo scarto tra il titolo delle opere e il bianco delle tele. Questo capitolo può persino disturbare un lettore passivo che si aspetta dei punti di giuntura nel testo, ma se si adotta, come fa Iser, la prospettiva secondo cui i bianchi sono spazi di interazione e di creatività, si comprende meglio la potenza di questo passaggio.
Attraverso l’attesa, ogni volta delusa, di un bianco che non corrisponde al programma annunciato dal titolo, il lettore è spinto a costruire una rappresentazione del mare capace di giustificare la sua impossibilità ad essere rappresentato nel romanzo. Per mezzo di una infruttuosa messa in relazione con la medialità della pittura (arte dello spazio circoscritto e della fissità), il mare può essere attualizzato dal lettore attraverso gli attributi che impediscono la sua rappresentazione su una tela. Il bianco dei quadri di Plasson accompagna il lettore a costruire un’immagine del mare in quanto manifestazione di ciò che non si può riprodurre in pittura, e cioè il continuo e il dinamico.
Il catalogo evidenzia l’importanza del processo di mediazione, l’importanza dell’atto più che della rappresentazione in se stessa. Anche se Bartleboom, l’autore del catalogo, non lo esplicita, grazie alle sezioni narrative precedenti il lettore sa che i quadri di Plasson sono bianchi perché dipinti con l’acqua di mare, la cui traccia -una volta asciutta- scompare.
Così, i quadri di Plasson non sono spazi di rappresentazione ma di azione, che perdono il proprio valore allorquando il processo pittorico in divenire non ha più seguito.
Nel romanzo, Baricco moltiplica qua e là i meccanismi che illuminano questo oggetto in perenne movimento che è il mare : frasi molto lunghe, giochi tipografici, variazioni ritmiche, ecc. È in ogni caso questo passaggio del catalogo dell’opera di Plasson, che costituisce il capitolo dal filo narrativo più coerente, la continuità più interrotta, i bianchi (sintattici e paradigmatici) più evidenti e la struttura enunciativa più complessa, che permette al lettore di attualizzare la rappresentazione più dinamica del mare e dell’atto di dipingere. Questa frammentazione ostentata conferisce al mare un impulso di movimento migratorio, da un quadro all’altro e da una forma all’altra nell’insieme del romanzo.
Ancora più significativo è poi il suo incessante movimento, di onde e maree, che lo sottraggono alla rappresentazione. Tutto ciò colloca allora il mare tra le strutture costruite dal romanzo e questo tra, questo spazio di movimento migratorio, diventa lo spazio esatto del movimento del mare. Come per Benjamin, l’interruzione è sia una sosta sia un passaggio, senza alcuna contraddizione.
In questa prospettiva, l’intermedialità letteraria non deve essere concepita come un fenomeno combinatorio che incolla i media l’uno all’altro. Essa fa emergere piuttosto l’attenzione rivolta agli spazi tra le mediazioni che interagiscono nell’ambito testuale. La svolta seguita dagli autori che si sono occupati della ricezione, della distanziazione e degli effetti della discontinuità, aiuta a concepire i bianchi del testo, accentuati dagli choc tra le frontiere mediatiche, non come spazi vuoti da colmare ma come luoghi congeniali all’inscrizione del movimento, della proceduralità e del divenire.
Anche il romanzo, che pure appartiene alla sfera di quelli che sono considerati « media tradizionali », può essere trattato come un ambito in cui possono dispiegarsi azioni e interazioni, nonostante l’apparente fissità delle strutture. Piuttosto che rappresentati, gli oggetti sono mediati, messi in relazione, e i giochi sui modi e sugli aspetti dei media possono creare dei movimenti di rimediazione che accrescono il dinamismo di questi oggetti.
Oceano mare, che offre i tre tipi di rimediazione qui elencati (rimediazione trasparente, intermedia e opaca), è un caso propizio per verificare queste tesi, soprattutto là dove segnala le modalità di mediazione del mare. Senza essere mai descritto, mai rappresentato, il mare è sempre in fieri tra queste mediazioni, in questi spazi che costutiscono i punti di congiunzione tra scrittura, pittura, parola e lettura.
L’idea del media come ambito e l’importanza riconosciuta agli atti e ai processi di mediazione, consentono almeno di tentare un allontanamento dal paradigma della rappresentazione, che si adatta sempre meno al panorama e alla pratica mediatici contemporanei. Pur avendo consultato autori i cui scritti sono anteriori alla rivoluzione digitale, è dal discorso contemporaneo sul Web e le nuove tecnologie che ho ricavato gli elementi di base per alimentare una riflessione sulla medialità in generale e sul concetto, assai fecondo, di intermedialità.
Appendices
Notes
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[1]
Nota del traduttore : traduciamo con « ambito » il termine milieu, ricco di accezioni e sfumature differenti anche se complementari : milieu indica uno spazio sociale riconoscibile, geograficamente centrale, la posizione accentrata all’interno di un contesto, la situazione di chi si trova « in mezzo a... » più cose che di tale spazio centrale fanno parte e al tempo stesso contribuiscono a creare
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[2]
Jay David Bolter et Richard Grusin, Remediation. Understanding New Media, Cambridge, MIT Press, 1999, p. 45.
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[3]
Secondo la terminologia di Elleström (2010), sulla quale ritornerò in seguito.
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[4]
Marie-Pascale Huglo, Le Sens du récit. Pour une approche esthétique de la narrativité contemporaine, Paris, Presses universitaires du Septentrion, 2007, p. 27.
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[5]
Walter Benjamin, Essais sur Brecht, Paris, La fabrique, 2003, p. 140.
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[6]
François Harvey, Écritures composites : interférences génériques et médiatiques chez Hubert Aquin et Alain Robbe-Grillet, Montréal, Thèse de doctorat, 2009, p. 269.
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[7]
Lars Elleström, « The Modalities of media. A Model for Understanding Intermedial Relations », dans Elleström, Lars, et Jørgen Bruhn (dir.), Media Borders, Multimodality and Intermediality, New York, Palgrave Macmillan, 2010, p. 16.
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[8]
Ibid.
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[9]
Irina O. Rajwesky, « Border Talks : The Problematic Status of Media Borders in the Current Debate about Intermediality », in Elleström, Lars, et Jørgen Bruhn. (dir.), Media Borders, Multimodality and Intermediality. New York, Palgrave Macmillan, 2010, p. 58.
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[10]
Werner Wolf, Musicalization of Fiction : A Study in the Theory and History of Intermediality. Amsterdam/Atlanta, Rodopi, 1999, p. 44.
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[11]
Irina O. Rajwesky, Op. cit., p. 59.
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[12]
Gérard Genette, Palimpsestes : La littérature au second degré, Paris, Seuil, 1982, p. 8.
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[13]
Farah Aïcha Gharbi, L’Intermédialité littéraire dans quelques récits d’Assia Djebar, Thèse de doctorat, Université de Montréal, Montréal, 2010, p. 72.
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[14]
Walter Mooser, « L’Interartialité : pour une archéologie de l’intermédialité », in Froger, Marion et Jurgen E. Müller (dir.), Intermédialité et socialité. Histoire et géographie d’un concept, Münster, Nodus Publikationen, 2007, p. 84.
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[15]
Marie-Pascale Huglo, Op. cit., p. 28.
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[16]
Marie-Pascale Huglo, Op. cit., p. 30.
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[17]
Wolfgang Iser, L’acte de lecture. Théorie de l’effet esthétique, Bruxelles, Pierre Mardaga, 1985, p. 351.
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[18]
Si riscontra un’idea simile in Eco (1985), che ne parla in termini di « non-detto », spiegando che est « precisamente questo non-detto che deve essere attualizzato al livello de l’attualizzazione del contenuto » (p. 62).
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[19]
Wolfgang Iser, Op. cit., p. 339.
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[20]
Ibid., p. 335.
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[21]
In merito a questo concetto, Viva Paci (2012) nota che « il termine ostranénie, de Chklovski, tradotto per lo più in francese con singularisation (in italiano, singolarizzazione), e a volte anche con distanciation [distanziazione] défamiliarisation [defamiliarizzazione] e più raramente con estrangement [straniamento] si associa quindi alle possibili traduzioni correnti del verfremdung brechtiano » (p. 72).
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[22]
Viva Paci, La Machine à voir : à propos du cinéma, attraction, exhibition, Paris, Presses universitaires du Septentrion, 2012, p. 55.
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[23]
Wolfgang Iser, Op. cit., p. 328.
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[24]
Walter Benjamin, Op. cit., p. 140. Come sottolinea Pascal Maillard (1985), il fatto che queste tesi sul montaggio gli derivano dal teatro brechtiano non impedisce loro di dimostrarsi valide anche in letteratura (p.132).
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[25]
Ibid.
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[26]
Maturo questa osservazione a partire dall’interpretazione di Maillard (1985, p.134).
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[27]
Pascal Maillard, « Lecture de Walter Benjamin » dans Critique de la théorie critique. Langage et histoire, Vincennes, Presses universitaires de Vincennes, 1985, p. 134.
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[28]
Wolfgang Iser, Op. cit., p. 329.
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[29]
Marie-Pascale Huglo, Op. cit., p. 26.