Abstracts
Riassunto
A trent’anni dalla sua morte, l’opera del filosofo francese costituisce ancora un mistero. Rimossa dalla scena pubblica la figura dell’intellettuale impegnato, la sua riflessione attorno al rapporto tra l’universale e il particolare può tuttavia costituire una bussola per orientare la prassi teorica fuori dalle secche di un disimpegnato specialismo.
Résumé
Trente ans après après sa mort, l'œuvre du philosophe français constitue encore un mystère. Refoulée par la scène publique, la figure de l'intellectuel engagé, par sa réflexion autour du rapport entre universel et singulier, peut toutefois constituer une boussole, un moyen d'orienter la pratique théorique loin de la sécheresse du désengagement des spécialistes.
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Sulle orme di un pensiero aperto
« C’era una folla immensa: circa cinquantamila persone, soprattutto giovani. Qualcuno batteva contro i vetri del furgone: erano per la maggior parte fotografi che appoggiavano gli obiettivi contro i finestrini per sorprendermi. Alcuni amici di Les Temps Modernes formarono una barriera dietro la vettura, e tutto intorno, spontaneamente, degli sconosciuti fecero catena dandosi la mano. Nel complesso, lungo tutto il tragitto, la folla fu disciplinata e calorosa: È l’ultima manifestazione del ’68, disse Claude Lanzmann ».
Così ha ricordato Simone de Beauvoir il funerale di Jean-Paul Sartre nel suo libro La cerimonia degli addii. Un’altra voce, Olivier Revault d’Allonnes, racconta che suo figlio, tornando sfinito dal cimitero di Montparnasse, gli disse: « Vengo dalla manifestazione contro la morte di Sartre ». Restare vivo, per Sartre era non accettare né onorificenze né premi, perché non voleva essere istituzionalizzato. Nel 1964, dopo il clamoroso rifiuto del Premio Nobel per la Letteratura affermò, in un’intervista a Le Nouvel Observateur, che « se avessi accettato il Nobel - anche se a Stoccolma avessi fatto un discorso insolente, il che sarebbe assurdo - sarei stato recuperato ». Oggi, nell’apogeo della società dello spettacolo, la sua rinuncia appare ancora scandalosa.
Provinciali e frammentati
La morte di un filosofo mette fine al suo pensiero, ma le pagine da lui scritte hanno la possibilità di sopravvivere. Sartre diceva che per essere immortale si deve morire. Ed ecco che il 15 aprile di 30 anni fa, a 75 anni, Sartre moriva. Era la morte del principale rappresentante della rive gauche parigina, simbolo del filosofo engagé, nonché autore prolifico. « Mai un giorno senza una riga », dichiarava in una pagina di Les Mots, la sua autobiografia, anche se dal 1972, quasi cieco, era stato costretto a esprimere il suo pensiero solo attraverso interviste.
Alcuni studiosi hanno considerato Sartre « l’ultimo filosofo totale » (Alain Renaut, Sartre, le dernier philosophe). Con Sartre, sostiene infatti Renaut, finisce una epoca, finisce la prassi teorica che vuole integrare l’universale nel singolare. Dopo Sartre comincia a prevalere l’intellettuale specifico che preferisce intervenire sulle tematiche che è in grado di conoscere con autorevolezza. Dopo Sartre, l’intellettuale rinuncia cioè al suo carattere universale per limitarsi a intervenire su materie circoscritte. Si passa dalla concezione dell’intellettuale totale a quella, sulla scia di Michel Foucault e Pierre Bourdieu, dell’intellettuale specifico. Per Bourdieu, la figura dell’intellettuale collettivo, quella del normalien che ha la risposta pronta su tutto, arrogante e piccolo borghese, è proprio incarnata da Sartre. Dirà addirittura che: « Senza dubbio è a proposito del ruolo dell’intellettuale che ho cominciato a costruire me, esplicitamente contro l’immagine di Sartre ». Difficile pronunciarsi su questo mutamento della concezione della figura dell’intellettuale, perché è difficile capire quanto l’« intellettuale specifico » sia responsabile della frammentazione del pensiero. E difficile è stabilire se la valanga di studi circoscritti, puntuali su un singolo tema, originati da quella frammentazione, abbia finito o meno di alimentare un generalizzato disimpegno degli intellettuali.
È però certo che, dagli anni Ottanta, la filosofia e la sociologia si sono atomizzate in una miriade di studi, rinunciando così a proporre una visione « globale » del vivere in società. E così accade che nel presente l’« intellettuale specifico » conosce bene la produzione teorica della propria disciplina e nulla più. L’orizzonte diviene così limitato a un « provincialismo globale » del sapere. Per Sartre, invece, l’intellettuale, e il filosofo in particolare, doveva essere in grado di passare dalla conoscenza specifica all’universo che la contiene e di cui è parte, perché l’universale non è un orizzonte, ma una meta raggiungibile. Introducendo il suo lavoro su Gustave Flaubert scriverà che « ogni informazione situata al proprio luogo diventa la porzione d’un tutto in continuo divenire e, in pari tempo, rivela la sua omogeneità profonda con tutte le altre ». Sarà necessaria una dialettica esistenziale che proceda attraverso un metodo che riesca ad articolare il temporalizzarsi dell’assoluto universale nel singolare.
Una costellazione in divenire
Riguardo alla produzione filosofica di Sartre si è spesso parlato di due momenti distinti: il primo gira intorno a L’essere e il nulla, scritta nel 1943, mentre il secondo ha come riferimento la Critica della ragione dialettica I, scritta nel 1960. Gli interpreti della sua produzione teorica si dividono così tra chi vede una discontinuità tra il primo ed il secondo Sartre e quanti rintracciano una sostanziale continuità nella sua opera. Al di là delle diverse interpretazioni, la lettura delle opere di Sartre evidenzia un frequente cambiamento di posizioni. Ma più che di diversi periodi, per restare nel lessico sartriano, si dovrebbe parlare di un dépasser, di un movimento dialettico che supera conservando e conserva superando. Benché sia lo stesso Sartre a confessare che è stata l’esperienza della guerra che lo ha condotto ad aderire al marxismo, il filosofo francese non ha però mai rinnegato le posizioni assunte ne L’essere e il nulla. Se le prime opere hanno un carattere metafisico, ciò è dovuto ad un diverso approccio. Nei primi testi è interessato al pensare teoretico; negli studi successivi è invece interessato alla prassi. Ma come ha scritto Raymond Aron nella Histoire et dialectique de la violence, la filosofia sartriana è rimasta essenzialmente ancorata alle stesse proposizioni iniziali. Dal primo periodo nascono cioè opere come L’immaginazione, Idee per una teoria delle emozioni, L’essere e il nulla o gli stessi Quaderni per una morale; nel secondo periodo prendono forma la Critica della ragione dialettica e i diversi studi su Baudelaire, Genet, Freud, Mallarmé, Tintoretto, Flaubert.
In altri termini, le tematiche sociali prendono posto nei suoi libri a partire proprio dalla Critica della ragione dialettica, sebbene negli ultimi anni Sartre abbia confermato molte posizioni sostenute ne L’essere e il nulla, dato che le basi fondamentali del suo esistenzialismo sono da rintracciare proprio nella costellazione dei lavori che ruotano intorno a questo testo. La stessa Critica della ragione dialettica è infatti costruita sui principii della prima ontologia fenomenologica. Secondo il filosofo e antropologo italiano Sergio Moravia, « al di là dei mutamenti anche notevoli intervenuti a livello concettuale e categoriale, resta infatti una concezione della filosofia come libera riflessione sintetico-totalizzante sulla realtà, rivolta a cogliere la verità delle sue leggi onde trarne un’immediata indicazione per l’azione pratico-morale. Resta una profonda fiducia nell’Uomo e nella sua sempre rinascente capacità di progettare il proprio destino contro ogni sorta di cose e di situazioni alienanti o pratico inerti ».
Un pacato ateismo
Sartre vuole cioè fondare un nuovo umanismo basato sull’accettazione della contingenza, proponendo una filosofia in grado di « rendere conto delle cose di tutti i giorni ». Questo mondo si rivela nell’indiscussa evidenza dell’apparire delle cose e nella prepotente preminenza del presente. Sartre vuole così partire da questa contingenza per contrastare il mondo disincantato della scienza e quello evanescente degli idealisti di ogni tempo, perché se l’essere umano è la pietra miliare dell’esistenzialismo, è altresì il fondamento antropologico e morale di una realtà in cui non vi è spazio per l’« oltre umano ». L’ateismo di Sartre è tutto qui: si tratta della ricerca di un’esistenza piena e consapevole, senza false maschere o travestimenti che possano illuderlo, un’esistenza che non si oppone all’essere. L’essere cioè non ha un’altra forma di esprimersi che tramite l’esistenza. L’accettazione dell’esistente, così come si è costituito, rappresenta l’umanesimo dell’antiumanesimo di Sartre. Senza Dio, senza un modello da seguire, senza un dover essere che prescriva gli obblighi a carico dell’esistente.
Da questo punto di vista, quando il filosofo francese afferma che l’esistenzialismo è un umanesimo vuole indicare, in realtà, il superamento della tradizione filosofica dell’umanesimo. Da questo punto di vista, quando il filosofo francese afferma che l’esistenzialismo è un umanesimo vuole indicare, in realtà, il superamento della tradizione filosofica dell’umanesimo. L’essere umano, centro della filosofia esistenzialista, non deve nulla alle convenzioni sociali e alle morali dominanti. Semmai, ha il compito di accettare la propria libertà.
Abbandonato e senza una morale che lo possa guidare, questo nuovo progetto di uomo è una sfida quotidiana che attende di essere realizzata. L’esistenza però, è concepita come una forma di resistenza ai molteplici condizionamenti sociali che bersagliano l’individuo. L’esistenzialismo vuole recuperare un essere umano il quale non si riconosce più nella propria scelta, ha ceduto le proprie aspirazioni, più che agente si sente agito ed incapace di individuare sé in ciò che realizza. Non è però questa una sfida privata e isolata, è sociale perché riguarda tutti. Ma dare voce e azione al gruppo è una scommessa che può rivelarsi falsa. « Il gruppo - dirà Sartre nella Critica della ragione dialettica - non ha né potrà mai avere il tipo di esistenza metafisica che si cerca di attribuirgli (…) il supporto degli oggetti collettivi va ricercato nell’attività concreta degli individui ». Gli oggetti collettivi sono dunque parassiti, esistono solo se sono agiti: altrimenti decadono e tornano nell’inerzia della materia.
Al di là dei punti di vista sulla sua opera, l’obiettivo di Sartre è stato sempre uno: abbattere i muri, portare sempre più in là il limite di ciò che è umano, un compito inderogabile per chi crede che la libertà è una conquista plurale.
Scaffali
Un laboratorio che unisce la Sorbona agli Stati Uniti
Non sono pochi coloro che proseguono le linee di ricerche lasciate da Jean-Paul Sartre. In Francia, l’équipe « Sartre del’Institut des Textes et Manuscrits Modernes » (École normale supérieure, Cnrs, Parigi) ha elaborato un catalogo generale dei manoscritti di Sartre che recensisce e descrive i lavori conservati nelle biblioteche universitarie pubbliche in Francia e nel mondo. Esistono anche delle pubblicazioni periodiche è il caso dei « Sartre Studies International », rivista della « North American Sartre Society » (Nass), pubblicato da Berghahn Journals, in associazione con l’« United Kingdom Society for Sartrean Studies and North American » e il bollettino del 2009 del « Groupe d’Études Sartriennes » curato da Grégory Cormann.
Tra gli ultimi libri usciti sempre nel 2009 e i primi mesi 2010 possiamo segnalare il « Sartre’s Second Century », a cura di Benedict O’Donohoe e Roy Elveton; « Beauvoir and Sartre. The Riddle of Influence », a cura di Christine Daigle e Jacob Golomb; « Aesthetics in Sartre and Camus » di Heiner Wittmann; « Aquinas and Sartre. On Freedom, Personal Identity, and the Possibility of Happiness » di Stephen Wang; « Lebendiger Sartre » di Vincent von Wroblewsky; « Traces de Sartre » di Jean-François Louette; « Sartre et l’artiste » di George Howard Bauer; « L’Enfance d’un Chef de Jean-Paul Sartre » di Aliocha Wald Lasowski; « Le Lièvre de Patagonie » di Claude Lanzmann; « Dictionnaire Sartre » di Philippe Cabestan; « Sartre, une écriture critique » di Jacques Deguy.
In Italia, la casa editrice Marinotti ha pubblicato di Sarte il saggio « Orfeo nero. Una lettura poetica della negritudine »; « Soggettivazione e destino. Saggi intorno al Flaubert di Sartre » a cura di G. Farina e R. Kirchmayr; « La materia della storia. Prassi e conoscenza in Jean-Paul Sartre » di Florinda Cambria. Nel 2010 è uscita anche una nuova edizione della raccolta di scritti di Sartre a cura di R. Kirchmayr che ha come titolo « L’universale singolare. Saggi filosofici e politici 1965-1973 ».
Come ogni anno il Groupe d’Études Sartriennes (www.ges-sartre.fr) ha in programma un incontro aperto alla Sorbona il 25 e 26 giugno 2010. Infine, il 29 e il 30 aprile L’Università di Liegi e il « Groupe belge d’études sartriennes » ha organizzato un convegno su « Politiques de la littérature. Bourdieu, Sartre, Foucault ».