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Il femminile delle professioni è al centro del dibattito sul sessismo linguistico in Italia, soprattutto per quanto riguarda i sostantivi che indicano ruoli professionali di prestigio, come avvocato, ministro o architetto, che spesso vengono declinati al maschile anche quando si riferiscono a una donna. Grazie ai contributi della linguistica femminista, tuttavia, è sempre più diffusa la consapevolezza che l’uso di forme del cosiddetto maschile “non marcato” per indicare referenti femminili è il frutto di una concezione della lingua di stampo androcentrico e sono ormai diverse le istituzioni che ne sconsigliano l’uso e si sono espresse a favore di un linguaggio non sessista.
Nella presente ricerca si è analizzato il trattamento della regola di formazione dei femminili di professioni all’interno delle sezioni grammaticali di quindici testi di italiano L2/LS pubblicati negli ultimi dieci anni con l’obiettivo di osservare se le recenti indicazioni e raccomandazioni abbiano avuto un impatto e siano state assunte come modello linguistico.
Dai risultati emerge che non esiste un’esposizione omogenea della regola in questione e che, sebbene in alcuni casi essa venga illustrata in maniera approfondita, quando si cerca di rendere visibili le donne che svolgono professioni prestigiose, alcuni dei manuali analizzati consigliano l’uso del maschile “non marcato” o forniscono indicazioni approssimative riguardo l’attuale stato della questione.